I miei stupidi intenti by Bernardo Zannoni

I miei stupidi intenti by Bernardo Zannoni

autore:Bernardo Zannoni [Zannoni, Bernardo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2021-07-29T00:00:00+00:00


XII

Come un animale

Ancora adesso trovo curioso quel susseguirsi di avvenimenti. Di come da una grande gioia passai alla tragedia in pochi attimi. Allora mi sembrò un dispetto di Dio, uno sgambetto alla mia felicità, ma ora sento di poter dire che fu invece la mia condizione ad essere fuori posto, l’unica anomalia in un disegno che mi era già davanti agli occhi.

Mandai Gioele a cercare un dottore, il più veloce che poteva. Trascinai la vecchia volpe fino alla sua camera, ancora svenuta; respirava male, la lingua gli usciva dalla bocca, colorata di sangue. Una forte inquietudine prese ogni parte di me, si sostituì al mio corpo. In qualche modo era come se fossi sparito dalla stanza, lasciando un’ombra tremolante, un piccolo rumore accanto al suo letto. Non feci altro che sedermi, senza pensare a niente, con la testa aggrappata a un filo di ragno. La luce della candela illuminava il suo muso imbronciato, talvolta cedendo al buio, rendendolo mostruoso, e io spalancavo gli occhi, e cercavo di ricordarmi com’era fatto. Aspettai momenti interminabili. Il cane tornò con il castoro, lo stesso che aveva portato per me. Era ancora più spaventato dell’altra volta, con il fiatone e il pelo arruffato, con l’alito di chi stava dormendo. Gli raccontai cos’era successo, e mentre spiegavo annuiva, lanciava occhiate alla vecchia volpe, ancora più agitato dal mio tono. Si sedette al suo fianco e cominciò a esaminarlo, cadde un silenzio insopportabile. Gli aprì la bocca, esaminò la lingua, ascoltò il suo respiro. Io e Gioele lo guardavamo, in attesa. I suoi tesori, gli oggetti dell’uomo che aveva raccolto per una vita, erano sparsi per la stanza. Non ci avrebbe mai permesso di stare lì, si sarebbe arrabbiato molto. È un pensiero che attraversò entrambi, perché il cane uscì dopo poco, e si mise ad aspettare fuori. Il castoro si alzò dalla sedia e mi venne incontro. Il suo sguardo non mi era piaciuto e mi feci ancora più agitato, mi si torse lo stomaco. Uscimmo dalla stanza, a quel punto ci guardò entrambi.

«Io non so cos’ha», disse con un filo di voce.

Si ingobbì, come per difendersi da un attacco, prese fiato. «Ma sta morendo».

Rimanemmo immobili, tutti e tre. Gli occhi del dottore saltarono rapidamente su entrambi, cercando di capire le nostre intenzioni. Fu un momento molto lungo. La sensazione di sparire si fece più forte, la paura diventò certezza, e in un certo senso mi calmò. Gioele fu il primo a muoversi, e raggiunse lentamente la finestra, per fermarsi di nuovo. Quel silenzio orribile colpì il dottore.

«Io non so cos’ha», disse di nuovo, ma nessuno gli rispose. Né a parole, né con un gesto.

Il sole stava nascendo dietro gli alberi, colorava il cielo d’azzurro. A quel punto sentii la vecchia volpe tossire, rantolare debolmente. Mi precipitai nella sua stanza, e vidi che aveva gli occhi aperti, e mi guardava.

«Ho sete», disse.

Non era lucido, tentava di leccarsi il naso, e non aveva alzato la testa dal letto. Gli portai dell’acqua e sembrò riprendersi un poco. Notò il mio muso.



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